L’ultimo dei Cinque Pezzi è un annuncio tronco, la storia di come una collana nasce
Sogni, prima. Poi inizi a vedere certe cose. Se diamo noi dignità a quell’oggetto di diventare messaggio, o segno, oppure se i segni esistono davvero in questo e negli altri mondi, non lo sappiamo ancora. In ogni caso, dopo i sogni la realtà inizia a macchiarsi di rimandi. Quando, ad esempio, il tuo linguaggio è costruito sul folklore mitico di una comunità microscopica come una famiglia, inizi a vedere che anche le altre persone utilizzano parole soltanto loro, tanto loro che è necessario condividerne il significato, e in quella condivisione la famiglia trova una spora in più. Infine, decidi di pubblicare il Lexicon, un libro che raccolga quelle parole, un libro solido e prezioso perché deve avventurarsi con quella famiglia in tutte le sue peripezie. Il Lexicon è come un album fotografico di chiunque vi metta spesso delle parole, il nuovo album di famiglia, qualunque forma abbia questa famiglia, anche se composta da una sola persona che decide di raccontarsi. Un illustratore genovese ci ha disegnato sopra un vocabolario. Una lettrice ne ha fatto un diario. Un altro il proprio ricettario. Così inizia, con i sogni. Poi arrivano i rimandi. Infine, sogni e rimandi si mescolano nel nuovo progetto.
A un certo punto, immaginiamo dopo un certo numero di progetti, si impara a fidarsi dei sogni, e a lasciare che scorrano già pregustando l’avvento dei segni, eccetera eccetera, fino al nuovo progetto. Questa bella familiarità diventa uno spicchio solido della propria etica, preferendo partire dal dieci di fiducia che dallo zero. Se zero o dieci deve essere, si capisce prima partendo dall’alto. E l’ultimo segno è sempre un nome. Una parola qualunque che però suona come un nome proprio, una parola per un viso, così che non diventi una di quelle orribili creature che non ne possiede una.
Mentre si scrivono queste parole, il nome ancora non è arrivato. Si raccolgono indizi, si osservano le crepe e gli interstizi, si cercano regolarità impreviste: per ora nulla.
All’inizio, l’estate scorsa, abbiamo compreso dal buon andare di “Tuttavia…” (collana Altana) che ci eravamo divertiti a dare anche un secondo antipasto, prima della portata più importante, delle pagine di Michele Marchesiello. Così abbiamo sognato una collana che potesse ospitare altri libri agili e consci. Spiritati ma grazie alla sprezzatura, non alla foga. Sapevamo bene che un sogno potrebbe essere il seme di un segno, di certo non sapevamo che avremmo allargato la Cerchia. Altana, Bellagio, BlackLabel, TANA e TEBE. Non ci aspettavamo di certo un evento come un nuovo parto. Come nasce una SIDO? Inizia così, con i sogni.
Naturalmente, un concepimento non è un semplice progetto. Una nuova collana è un progetto di progetti. Si annuncia un nuovo clado, una nuova genia sbarcherà presto nella Cerchia. Si deve fare spazio. Si devono creare nuovi equilibri. Una delle buone fortune delle SIDO è che hanno una natura ancora diffusa, dunque le collane (e la Collezione) sono anch’esse creature libere, liete e a loro agio ovunque vengano accolte. La prima fase dunque è sempre strategica. Si risponde alle domande: perché, quando, cosa, come, dove, chi. Una volta strutturato questo nuovo nucleo di consapevolezza, lo si pone nella Cerchia e si attende che il terreno dell’orto concluso inizi a nutrire la nuova arrivata. Cosa arriverà, lo scopriamo soltanto alla prima visione. La visione è l’ultimo sogno, quello che precede i segni. Nella visione c’erano le bande. Bande: una delle pezze onorevoli dello scudo araldico. Larghe strisce di colore che tagliano lo scudo per angoli opposti. Le strisce sono la stoffa del diavolo. Sventolavano, irregimentate eppure scatenate, pronte a procurare un pandemio nella Cerchia.
Tutto poi rotola piuttosto facilmente. Dopo la Visione, si può intuire a grandi linee il disegno del viso. Sveglio, spietato, luminoso. O il carattere. In questo caso: terribile. Una SIDO insomma. Per la prima volta agile nella sua potenza. Le altre collane (e la collezione) sono incastonate nella Cerchia, questa sembra voler diventare una sostanza, satellite del centro come le altre, ma non ferma nella sua rivoluzione. Questa SIDO, in quel momento, vedendo le bande sventolare sulle aste, vedendo la stessa stoffa dei giullari, degli arbitri e dei galeotti, ci è apparsa più spedita, più leggera. Ci è parso che muovesse la testa a ritmo serrato mentre andava così spedita, come se fosse a suo agio nella speditezza abbastanza da godersi la musica. Ancora senza nome, abbiamo capito che sarebbe diventata il piccolo genio del gruppo.
Holmes aveva una sorella? Ecco, una SIDO così. Holmes è stato uno dei primi segni. Abbiamo capito la ragione dell’agilità. La nuova collana è il satellite di un satellite. Gira su una ruota facendo le linguacce e reggendo un’ottima pagella. Gira attorno alla Altana. Il buio non è nero, Watson, di P.B. Scania, inaugurerà l’Altana, questa nuova collana, è certamente comoda a fare acrobazie alla nostra collana di letture leggere, ma con il fuoco. Come vedete, è piuttosto semplice. Le bande saranno la base del design di copertina, l’atmosfera dei manoscritti sarà contemporanea quanto immacolata nell’esercizio stilistico. Una ribelle con un piano. Una discola che si annuncia con una bandiera a bande, a grandi strisce che muovano le acque.
A questo punto, non rimane che attendere di trovare un segno, l’ultimo, un nome.